Palestina - Gianluca Cecere

L’acqua è un bene comune, impariamo a tutelarlo

Intervista a Marirosa Iannelli, attivista ambientale, policy advisor, presidente di Water Grabbing Observatory e autrice di “Water grabbing”. Guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo” (EMI Editore). 

Ci spieghi cos’è il water grabbing? Da dove arriva questo fenomeno e perché è tanto importante oggi?

Water grabbing in italiano significa letteralmente accaparramento idrico: è un fenomeno che si verifica quando soggetti pubblici o privati accaparrano le risorse d’acqua a discapito di popolazioni locali e dell’ambiente circostante.

Quando si parla di water grabbing si può pensare che sia relegato a zone dell’Africa, del Sud America o dell’Asia ma il concetto giuridico che c’è dietro è applicabile a qualsiasi contesto, Europa e Italia comprese. Chiaramente le tipologie di water grabbing in Europa non sono le stesse del water grabbing in Africa.

Quando attori statali e non statali, da soli o insieme, privano le popolazioni del diritto all’acqua si parla di water grabbing.

Non ci sono soltanto privatizzazioni e deviazioni di corsi d’acqua (per esempio per la costruzione di centrali idroelettriche), c’è anche estrazione di petrolio e qualsiasi altra attività dove l’uso dell’acqua è eccessivo e insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. 

Spesso succede che venga deviato, per fini economici, un corso d’acqua fondamentale per l’ecosistema, o inquinato, o usata una quantità d’acqua tale da privare le popolazioni locali del diritto all’acqua.

Questo è stato definito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come “il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all’accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico – per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa – allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute”.

Si tratta di un fenomeno abbastanza recente dal punto di vista della ricerca: i primi studi accademici relativi al water grabbing risalgono a non più di dieci anni fa, grazie al Transnational Institute di Amsterdam, che ha anche coniato questo termine. 

Di cosa è frutto questo accaparramento, accordi commerciali o accordi politici?

Entrambi e spesso si sovrappongono.

Valle dell’Omo, Etiopia – Fausto Podavini

Per quanto riguarda gli accordi commerciali tra stati e multinazionali, sono veri e propri contratti legati alla vendita di terreni e falde acquifere. L’esempio dello Swaziland (ora Regno di eSwatini) è abbastanza rappresentativo.

Il re Mswati III ha venduto a Coca Cola company dei terreni dove viene coltivata la canna da zucchero, principale coltura utilizzata per la produzione di bibite gassate e che necessita di tantissima acqua di irrigazione.

Il problema è che questo accordo, deviando diversi corsi d’acqua per fini commerciali, è andato a forte discapito di più di tre quarti delle comunità dello stato. Non sempre succede questo chiaramente.

Si possono utilizzare risorse idriche con controlli, senza depauperare territori e forzare spostamenti delle comunità che li abitano ma servono accordi più stringenti.

Per quanto riguarda la finanziarizzazione dell’acqua gli accordi commerciali da tenere in considerazione per noi italiani sono trattati come il CETA (l’accordo economico e commerciale UE-Canada). 

In questi casi il problema risiede nel fatto che la gestione delle risorse idriche rientra nel capitolo dei servizi e, anche se esiste una risoluzione ONU che sancisce che l’acqua è un diritto umano inalienabile, di fatto questo non è concretizzato negli ordinamenti giuridici dei singoli stati e non esiste (ad eccezione di pochi casi come Costa Rica e Slovenia) una risoluzione vincolante che obbliga uno stato a garantire una quantità minima di litri d’acqua a tutti. 

In questi trattati quindi prima di essere un diritto l’acqua è considerata un servizio da gestire.

Se approvati dai parlamenti nazionali i trattati come il CETA rischiano di scavalcare l’ordinamento giuridico nazionale sulle questioni come la gestione di alcuni servizi, tra cui la fornitura idrica.

In italia, nonostante abbiamo vinto un referendum sull’acqua pubblica nel 2011 questo non si è mai effettivamente concretizzato e attualmente i servizi idrici sono affidati ad una gestione pubblico-privata.

Noi di Water Grabbing Observatory, assieme ai nostri partner, stiamo lottando affinché la proprietà delle fonti rimanga statale. Se questo non si dovesse verificare, può quindi verificarsi un caso di water grabbing.

Come muoversi all’interno di questo duplice significato che ha l’acqua come diritto umano e come servizio?

Sento spesso dire “Già se ne spreca tanta ora che si paga, se l’acqua fosse gratuita se ne sprecherebbe ancora di più”. In realtà acqua pubblica non significa acqua gratis: è giusto che la bolletta dell’acqua arrivi a casa per coprire i costi di manutenzione.

Il fatto è che non si dovrebbe lucrare, non ci dovrebbe essere un profitto delle varie gestioni per quanto riguarda manutenzione e controlli. 

In Italia abbiamo un buon caso di “compromesso”, il gruppo CAP a Milano che è una S.P.A. pubblica. È un’idea che funziona ed è stata inserita una clausola nel loro statuto in cui si dichiara che tutto il guadagno ulteriore, gli utili, venga investito in innovazione e ricerca per le infrastrutture. 

In Italia infatti abbiamo infatti un grosso problema di infrastrutture, il 41% circa delle nostre tubature è forato. 

Vuol dire che quasi la metà delle infrastrutture nazionali ha perdite. Se si guarda questa inefficienza in un’ottica di crisi climatica, di siccità sempre più intense e frequenti, sprecare così tanta acqua è assurdo.

E per quanto riguarda il costo dell’acqua pubblica?

Prima di parlare del costo del servizio per i singoli cittadini c’è una cosa da dire. Tutta l’acqua che beviamo viene intercettata alle fonti, sia per la distribuzione domestica sia per la distribuzione alle aziende di acqua in bottiglia. Il prezzo di vendita dell’acqua dalle fonti alle multinazionali viene pagato tramite un canone di concessione regionale.

Questo canone in Italia è bassissimo: noi consumatori paghiamo l’acqua in bottiglia mille volte di più rispetto al prezzo a cui la multinazionale la acquista dalla fonte.

Questo riguarda anche, e soprattutto, l’Italia perché siamo i primi consumatori di acqua in bottiglia in Europa e terzi al mondo. 

Prima di far pagare ai singoli cittadini i costi di adeguamento delle infrastrutture per garantire la qualità dell’acqua del rubinetto, aumentiamo i canoni regionali e unifichiamoli in un unico canone nazionale.

Come Water Grabbing Observatory siamo stati in Senato e abbiamo proposto un aumento del canone delle concessioni e un vincolo di quei guadagni per un adeguamento delle infrastrutture idriche. 

Com’è cambiata in Italia la percezione dell’acqua potabile negli ultimi due decenni e che valore assumerà nei prossimi 20 anni? 

L’Italia negli ultimi 20 anni è diventata il primo consumatore in Europa di acqua in bottiglia a causa del perdurare di un senso di sfiducia rispetto alla qualità dell’acqua pubblica. Ciò che è mancato nella società civile italiana, e che sta cambiando in questi anni, è stata la consapevolezza sugli impatti ambientali dell’acqua in bottiglia.

Valle dell’Omo, Etiopia – Fausto Podavini

Dal punto di vista politico ci vogliono due provvedimenti forti: da una parte aggiornare le infrastrutture e rendere l’acqua sicura ed efficiente su tutto il territorio, dall’altra sensibilizzare le persone e spiegare il valore reale dell’acqua pubblica. 

Io ho grande fiducia rispetto ai 10 anni che ci aspettano, sia sul fronte della lotta al cambiamento climatico sia per la gestione delle risorse idriche che sono già, e saranno sempre di più, l’elemento chiave per un’efficace risposta alla crisi climatica.

C’è sicuramente un’attenzione maggiore ai temi ambientali, mancano ancora delle conoscenze su che cosa si può fare concretamente e quali sono le strategie da mettere in atto ma c’è luce.

Ci sono molte organizzazioni che stanno lavorando assieme alla politica italiana, e non, per lavorare su piani importanti come il Green Deal europeo, e ristrutturare una gestione sostenibile dell’acqua da un punto di vista domestico, agricolo e industriale.

C’è speranza ma ritengo ci sia ancora bisogno di un forte lavoro di squadra tra chi si occupa di clima e chi si occupa di gestione delle risorse idriche.

Parlavi di conoscenze che mancano. Cosa si può fare concretamente per arrivare a dei risultati che garantiscano una prospettiva sostenibile di lungo termine?

Tre sono gli ambiti importanti dove agire: l’informazione, le partnership e il senso civico.

Per quanto riguarda l’informazione questa gioca un ruolo fondamentale nello scindere quell’assioma ormai falso che contrappone sostenibilità e prosperità economica. Le problematiche ambientali sono sempre anche questioni economiche e sociali. Le persone oggi si educano a scuola, con i giornali e sempre di più attraverso i nuovi media.

C’è necessità quindi di investire su un’informazione di alta qualità, chiara, comprensibile e corretta scientificamente che coinvolga le persone che non si occupano di questioni scientifiche.

Il secondo punto su cui dobbiamo migliorare è il lavoro di sistema tra le organizzazioni italiane e la politica. Le azioni che intraprenderemo dovranno essere coordinate e interdisciplinari perché i fenomeni a cui stiamo andando incontro, la crisi climatica in primis, sono complessi e riguardano ambiente, economia e società senza distinzioni.

Il terzo punto riguarda lo sforzo che dobbiamo fare come singoli cittadini. Viviamo in un mondo dove l’accesso all’informazione è ormai diffuso. Abbiamo gli strumenti per ricercare delle informazioni di qualità, responsabilizziamoci. Cerchiamo di capire quali sono le cose più sostenibili da fare. 

Per il discorso dell’acqua può sembrare difficile a prima vista capire dati e grafici legati alla qualità dell’acqua che esce dal proprio rubinetto ma ci sono già pagine web e app che fanno informazione chiara a riguardo (TAPP Water ha creato una serie dedicata alla qualità dell’acqua del rubinetto, città per città, nda).

Nelle città italiane l’acqua del rubinetto è potabile (per legge lo deve essere sempre) e buona, dobbiamo dirlo e affrontare le critiche fornendo soluzioni. Se il problema sono il sapore e il colore dell’acqua che esce dal rubinetto esistono strumenti, come i filtri depuratori, che migliorano in questo senso la qualità dell’acqua eliminando tutte le impurità.

Per concludere, dobbiamo avviare un lungo processo di transizione ecologica su tutti i livelli, dalla riduzione delle emissioni alla gestione dell’acqua. Lavoro ce n’è in tutti i settori se c’è la volontà di riconvertire quegli stessi settori affinché diminuiscano progressivamente il loro impatto ambientale e lavorino verso obiettivi di lungo termine.

Fare tutto questo è possibile ma i piani di transizione non possono essere immediati, devono guardare al medio e lungo termine. Ci vuole pazienza, tenacia e costanza ma se non si ha una visione chiara della direzione in cui bisogna andare non si arriva da nessuna parte. La tutela sociale, economica e ambientale del nostro paese passa dall’acqua.

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